Stando alle ultime rivelazioni, la Apple sarebbe in grado di controllare a distanza gli iPhone venduti in tutto il mondo, opzione prevista a fin di bene per “curare” i dispositivi in caso di attacco da parte di virus e altri malware. Proprio in questi giorni, poi, le autorità italiane hanno bloccato l'accesso dal nostro Paese al sito svedese PirateBay dove milioni di persone di ogni nazionalità scaricano gratis file protetti: a poco è valsa questa misura, perché il portale si è subito replicato in un altro indirizzo web e «quanto si era chiuso fuori dalla porta è prontamente rientrato dalla finestra».
Nel mentre, gli esperti di infrastrutture telematiche sostengono che l'overdose di dati circolanti sulla rete metterebbe in serio pericolo la capacità globale di banda e quindi la connettività mondiale di internet: contenuti sempre più numerosi e pesanti (video e audio, in particolare attraverso YouTube e altri sistemi di web-tv) rischierebbero letteralmente di ingolfare i canali di trasmissione dei dati. Un tale sovraccarico potrebbe comportare, in meno di due anni, il blocco totale del web. Questo, naturalmente, sarebbe lo scenario peggiore, più catastrofico, almeno da un punto di vista ingegneristico-hardware.
Un overloading analogo si rischia comunque sul piano della protezione della privacy e dei diritti d'autore: potete ben immaginare quanto il mare magnum di informazioni viaggianti in rete si riveli via via meno arginabile, quasi incontrollabile sotto il profilo della liceità, dell'anti-pirateria, della protezione dei dati. La speranza (o l'utopia) dei teorici del "wiki" è che, grazie alla buona coscienza e alla collaborazione di ogni utente di internet, si riesca a garantire diffusamente e in modo capillare la correttezza nell'uso delle informazioni da parte di tutti i navigatori, evitando problemi legali. Ma è appunto un'utopia: non potendo contare su candide illusioni, le soluzioni vanno cercate nel controllo pubblico o nell'auto-difesa privata, oppure nel giusto dosaggio di entrambi.
Ricordiamo che, dal 2005, con l'innovazione della legge 43 alla normativa sul diritto d'autore (l. 633/1941), il peer to peer illecito di file protetti è punito in Italia con sanzioni amministrative, e naturalmente ogni download o upload illegale di brani o filmati o altre opere intellettuali comporta responsabilità civile. Si arriva al codice penale in caso di file sharing a scopo di lucro. Queste regole, apparentemente lineari, si scontrano tuttavia con la tutela della privacy dei cittadini.
In Usa è da tempo in corso una battaglia proprio su questo terreno tra operatori del mercato e consumatori (in senso lato) di contenuti protetti. La stessa partita è quest'anno approdata in Italia: qui il Garante della Privacy ha emesso un provvedimento, in data 28 febbraio 2008 (Bollettino del n. 92/febbraio 2008, doc. web n. 1495246), sul celebre caso Peppermint di cui si sta tuttora discutendo in tribunale.
Il criterio amministrativo seguito dal Garante della Privacy italiano nella recente pronuncia Peppermint è stato tutto a favore degli utenti "spiati", essendosi a suo giudizio «configurata un'attività di monitoraggio vietata a soggetti privati dalla direttiva 2002/58/Ce (art. 5; cfr. art. 122 del Codice)»: trovandosi collocata in un contenzioso civile, l'indagine di Peppermint sui movimenti e sulle identità dei privati che scambiavano file online (effettuata grazie a un particolare software svizzero in grado di tracciare e recuperare gli indirizzi IP) costituiva trattamento illecito. E illecito si rivelava anche l'invio, successivo all'identificazione dei presunti "pirati", di missive legali con richieste di risarcimento per i danni subiti.
La privacy dei cittadini in quel caso pare avere prevalso sulla protezione industriale, mentre nuovi elementi di chiarezza sulle facoltà delle aziende e dei loro legali deriveranno dall'imminente approvazione definitiva, in seno al Garante, del Codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato per svolgere investigazioni difensive.
Nel settore Ict, in ballo è dunque l'equilibrio tra diritto alla riservatezza dei singoli (per esempio di coloro che scambiano file su internet attraverso software di peer to peer) e il diritto d'utilizzazione delle opere nella titolarità di media-company e case di produzione musicale, cinematografica o televisiva. Se il file sharing illegale causa danni enormi all'economia di pensiero, penalizzando l'industria culturale in maniera massiccia e togliendo, di fatto, il pane di bocca agli artisti e agli scienziati, è giusto che le case di produzione, le industrie tecnologiche e finanche gli operatori Tlc si auto-tutelino indagando, raccogliendo i dati (in particolare, gli indirizzi IP degli utenti) utili ad identificare chi commette gli illeciti e quindi a perseguirli? O la privacy degli utenti, per quanto scorretti, non è in alcun modo violabile “per legittima difesa”? Se i virus possono compromettere su scala globale l'utilizzo di un apparecchio telefonico, è giusto che il produttore abbia accesso a tutti i terminali sparsi sulla terra per risolvere eventuali problemi, con buona pace per il riserbo di tanti mobile user?
Anche in Europa bisogna prendere atto della realtà: l'infinita quantità di dati in circolazione sulla rete non è solo un problema tecnologico ma rappresenta una questione giuridica e insieme economica. Da un lato, il contributo attivo - seppur regolato e corretto - in termini di autodifesa e controllo da parte dei privati (siano essi milioni di wiki-user o singole imprese titolari di diritti d'autore o produttrici di media-player device) sembra inevitabile, perché lo Stato non ha la forza di "fare tutto da solo" - come testimonia il facile e rapido aggiramento della contromisura di inibizione del sito PirateBay.
CONTINUA ...»